Stefano amava quel posto.

Ci aveva sempre creduto, anche quando nessuno sembrava dargli peso.

Quella mattina, aveva la testa come parcheggiata nei suoi pensieri, mentre percorreva a piedi la strada sterrata che si addentrava lungo il Vallone del torrente San Lorenzo, un piccolo affluente del Tevere.

Ci andava da quando era bambino, ancor di più da quando aveva deciso di fare l’archeologo.

A quell’età, Stefano leggeva le avventure di re Artù e della sua Spada nella Roccia. Ecco, ora lui non aveva una spada, ma tante, tantissime tombe scavate nella roccia! Finalmente, a Montecchio, un piccolo borgo del Parco del Tevere, qualcuno cominciava a chiedersi cosa ci fosse su quelle colline. Il bello è che anche l’archeologia ufficiale cominciava a domandarsi quale città così fiorente potesse esserci nelle vicinanze..

Stefano voleva controllare i danni fatti al sentiero dal torrente, in piena per le piogge battenti dei giorni precedenti. Aveva lasciato all’ingresso dell’area archeologica la sua vecchia Multipla polverosa, piena di cassette per i materiali di scavo, mappe, note scritte di fretta e strumenti, appunto, da archeologo, e osservava i margini del torrente..che si incuneava nella forra.

A breve doveva portarci degli escursionisti e non voleva che ci fossero sorprese. L’acqua era ancora torbida e il fogliame di quell’inizio autunno era pronto a regalare foto strapiene di colori tra il giallo e l’arancio..

Camminava attento a non cadere nell’acqua e a non farsi prendere troppo da quello spettacolo colorato. Il sole faceva capolino tra la vegetazione: “Tutto a posto” – si disse – “ posso andare a dare un’occhiata alle tombe” . Prese a salire la piccola scarpata e si soffermò per un attimo dinanzi a quella parete di roccia  che una volta, circa 2 milioni di anni fa, era parte del Mare e che ora ospitava la ricchissima necropoli umbro-etrusca. Lì gli sconosciuti abitanti di questa favolosa città avevano deciso di seppellire i propri morti: sembrava di essere in Etruria, con le tombe precedute da un corridoio di ingresso e le camere dove ignoti artisti di più di 2000 anni fa avevano scolpito nella roccia il tetto di legno. Stefano a volte si sedeva immaginando il rituale funebre, con le banchine piene di oggetti e vasi appartenuti al defunto..

Aveva visitato e controllato già una decina di tombe quando si accorse dello smottamento: la terra, scura perché ancora intrisa d’acqua, attirò subito la sua attenzione. Noi che lo conosciamo da anni sappiamo che quando pensa e riflette comincia ad accarezzare la corta barbetta che aveva deciso di lasciarsi crescere.. L’ingresso del corridoio  era franato e si vedeva solo il grosso lastrone di travertino della chiusura. Stavolta non ci pensò nemmeno un istante: il lastrone era spostato, e Stefano entrò nello stretto pertugio tra la terra e la roccia. Mannaggia: non era una tomba intatta, era stata già saccheggiata, magari in antico. Decise di lavorare di trouwle, sapete quella specie di cazzuola degli archeologi, benedicendo la sua idea di portarsela sempre dietro. Si accanì a liberare dalla terra la parete destra, incurante del freddo e dell’umidità e quasi al buio. E avvenne il miracolo: piano piano si rese conto che quei segni così ben conservati formavano una iscrizione, in alfabeto etrusco. Era il nome del proprietario della tomba: lesse , da destra a sinistra, Marce Camit e poi nulla più.. Accidenti! Per l’emozione uscì fuori in un secondo.. Marce Camit… e.. se fosse Marce Camitinas…uno dei compagni di Aulo e Celio Vibenna conquistatori di Roma nel VI secolo? La saga della celebre tomba Francois di Vulci avrebbe uno strascico anche qui! (to be continued…)

La ricostruzione è di fantasia, ma non è detto che, un giorno, si possa dare un nome e una città alla meraviglia nascosta, ma visitabile, nel vallone di San Lorenzo. I corredi funerari sono visibili oggi presso l’ Antiquarium comunale nella vicina frazione di Tenaglie del comune di Montecchio.

 

Info e prenotazioni:
+39 349 06 42 786
montecchiostorianatura@gmail.com
www.montecchiostorianatura.it

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